DOSSIER ADNKRONOS A CURA DI CENTRO STUDI ENTI LOCALI
Agli enti svantaggiati la fetta più consistente delle risorse: il 46% del tesoretto va al Sud, a lungo penalizzato da criterio della spesa storica
Quanto spendono i comuni per i servizi destinati ad anziani non autosufficienti, bambini e disabili? Stando all’ultimo rapporto sul welfare locale diffuso dall’Istat (redatto nel 2021 ma basato su dati 2018), mediamente i comuni italiani spendono annualmente 124 euro ad abitante per i servizi sociali.
Sarebbe però forse più accurato rispondere alla domanda con un “dipende dalla latitudine a cui si trova l’ente e da quanto è popoloso” perché dietro a questa media si celano abissali differenze che, in termini regionali, vedono ai due poli opposti le amministrazioni della Provincia Autonoma di Bolzano, dove si spendono 540 euro annui per ogni abitante, e quelle calabresi, ferme a 22 euro procapite.
A incidere non sembra però essere solo la collocazione geografica ma anche la dimensione demografica dei comuni. Si va dai 100 euro all’anno spesi mediamente nelle amministrazioni con meno di 10mila abitanti ai 165 di quelle che superano quota 50mila.
Per iniziare a colmare, almeno in parte, questi colossali divari che dividono il Paese, il Governo ha messo a punto nel tempo una serie di misure. Le ultime, in ordine di tempo, sono state disciplinate da un Dpcm. approdato in Gazzetta ufficiale il 1° settembre 2021 e consistono nello stanziamento di risorse aggiuntive da destinare al welfare e nella modifica dei criteri attraverso i quali vengono calcolati i fabbisogni standard per la spesa sociale.
Dalla spesa storica ai fabbisogni standard
Ma che cosa sono i fabbisogni standard? In passato l’ammontare delle risorse che venivano trasferite dallo stato alle amministrazioni locali era determinato sulla base della cosiddetta spesa storica. Quel meccanismo faceva sì che i territori storicamente più prosperi continuassero ad accaparrarsi le risorse più ingenti, penalizzando così le aree con un passato meno florido alle spalle.
La Legge n. 42 del 2009 ha tentato di sovvertire il paradigma, introducendo il meccanismo dei fabbisogni standard; indicatori che stimano le risorse di cui un ente locale ha bisogno per erogare servizi fondamentali come il trasporto pubblico locale, la gestione dei rifiuti, la polizia locale, l’istruzione e – appunto – i servizi sociali.
Questi indicatori vengono calcolati tenendo conto delle caratteristiche territoriali delle amministrazioni e di una serie di aspetti demografici e socio-economici (numero di abitanti, densità di popolazione, quantità dei servizi offerti, costo del lavoro ecc) e sono stati istituiti con il dichiarato intento di redistribuire – attraverso la quota perequativa del fondo di solidarietà comunale – le risorse in modo più equo tra i vari comuni italiani.
Il divario nord-sud
Come emerge chiaramente dai numeri citati, l’istituzione di questo meccanismo non è stata sufficiente per raggiungere lo scopo. Come anticipato, a più di 10 anni di distanza dal debutto dei fabbisogni standard, persistono infatti differenze abissali tra l’ammontare di risorse destinate al sociale in un posto rispetto a un altro della Penisola. Sono molte, infatti, le amministrazioni la cui spesa effettiva destinata al welfare si colloca nettamente al di sotto o al di sopra di quella individuata come adeguata dai relativi indicatori.
Ragion per cui, come fotografato dall’ultimo rapporto Istat, si assiste a differenze territoriali marcatissime. I Comuni del Mezzogiorno spendono per il sociale 58 euro annui pro-capite, contro una media nazionale di 124 euro. Le Isole, trainate dalla Sardegna (dove la spesa media procapite è di 243 euro, contro le 82 siciliane), si collocano poco al di sotto della media nazionale, con 122 euro. Al di sopra di questa soglia, le amministrazioni del nord-ovest con 133 euro procapite annui e il Centro, con 137. Infine, il Nord-est che stacca il resto del paese e tocca quota 177 euro pro-capite.
Le nuove risorse perequative
Cosa cambia con le ultime novità normative disciplinate dal recente Dpcm? Il Governo ha quantificato in 651 milioni di euro all’anno le risorse aggiuntive del “Fondo di solidarietà comunale” da destinare allo sviluppo dei servizi sociali nei Comuni delle regioni a statuto ordinario che presentano le maggiori carenze. Questi saranno però finanziati in modo graduale dal 2021 al 2030. Per il 2021 sono stati stanziati circa Euro 216 milioni, che non sono però stati ripartiti in toto come risorse aggiuntive rispetto al passato perché spetta loro il compito anche di compensare le minori risorse che, alla luce dei nuovi criteri, sono state destinate agli enti penalizzati dalla variazione di metodologia.
Per mantenere inalterati i servizi fin qui offerti dai Comuni che hanno sempre investito di più per il sociale, il Governo ha infatti azzerato le differenze negative che si sarebbero prodotte per 500 amministrazioni, compensando questi ammanchi con parte del fondo citato.
Come emerge da una elaborazione di Centro Studi Enti Locali basata su dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze e Istat, le novità introdotte nel meccanismo di calcolo dei fabbisogni standard hanno portato allo spostamento di 41,5 milioni dal centro-nord al sud Italia.
A “pagare pegno” sono soprattutto le amministrazioni del centro che contribuiscono per 24,7 milioni, contro i 16,8 del nord.
Se guardiamo alle singole regioni, il segno meno riguarda Liguria (-335,360), Veneto (-5.044.658,81), Lazio (-12.027.069,25), Lombardia (-21.888.418,18), Marche (-4.325.721,57) ed Emilia-Romagna (-14.360.804,08).
Posto che i risultati negativi, come anticipato, sono stati però sterilizzati attraverso risorse extra, il combinato disposto delle recenti novità normative ha fatto sì che globalmente il saldo sia positivo per poco meno di 176 milioni di euro. Dovrebbero quindi profilarsi all’orizzonte miglioramenti in ambito servizi sociali per i cittadini di 6.065 comuni su un totale di 6.565 enti interessati dalla misura che, ricordiamo, riguarda solo le 15 regioni a statuto ordinario. I restanti 500, come anticipato, hanno un saldo pari a zero.
I comuni interessati dal provvedimento sono tenuti a destinare nel 2021 una spesa per la funzione sociale, al netto del servizio di asili nido, almeno pari al fabbisogno standard monetario approvato dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, nel limite delle risorse aggiuntive effettivamente assegnate.
Tutti gli enti destinatari di questi fondi saranno sottoposti a monitoraggio e dovranno riportare i servizi offerti in termini di utenti serviti per le diverse tipologie di servizio e le eventuali liste di attesa. I Comuni che non raggiungeranno l’obiettivo di servizio 2021 potranno rendicontare l’impegno delle risorse anche destinandoli ad interventi per un significativo miglioramento dei servizi sociali (istituendone di nuovi o intensificando quelli esistenti) relativamente alle:
- azioni di sostegno in favore di anziani auto non autosufficienti, al fine di favorirne la permanenza nel proprio domicilio;
- azioni di sostegno ai minori e alla genitorialità fragile;
- azioni di sostegno in favore dei disabili.
Ma chi beneficia in misura maggiore di questo “tesoretto”, il cui ammontare è destinato a triplicarsi nell’arco dei prossimi 9 anni? Chiaramente le regioni ad oggi più svantaggiate e nelle quali si spende molto meno della media nazionale. Il Mezzogiorno si assicura dunque la fetta più consistente delle risorse: 80.539.148,96 euro, pari a circa 5,8 euro in più per abitante. Seguono il settentrione, con 51.455.082,76, (vale a dire 2,5 euro per abitante) e il centro Italia con 43.818.417,04 milioni (circa 2,6 euro procapite).
Guardando alle singole regioni, i meccanismi redistributivi portano poco meno di 34 milioni di euro extra nelle casse dei comuni campani e fanno sì che vengano destinati 20,6 milioni di euro extra agli enti del Piemonte, 20,2 milioni a quelli della Puglia, 16,2 milioni nel Lazio, 14,7 in Toscana e 14,6 in Lombardia. Poco meno di 14 milioni di euro vanno agli enti calabresi, che sono quelli per i quali la variazione è in assoluto più significativa se rapportata ai fabbisogni standard (10% contro l’1,53% dell’Emilia Romagna). Seguono il Veneto con 10,7 milioni di euro, l’Abruzzo con 8,1, l’Emilia Romagna con 5,6, la Liguria con 5,5 e l’Umbria con 5,3. Fanalini di coda la Puglia, il Molise e le Marche con 2,3 milioni di euro, 1,83 e 1,80.
Le grandi città
L’unica città metropolitana delle regioni a statuto ordinario che non si assicura nessuna risorsa extra per il sociale attraverso questa misura è Milano. La somma tra l’incremento della dotazione del fondo di solidarietà e la variazione dovuta all’aggiornamento della metodologia produce un saldo negativo di quasi un milione di euro (-957.250 euro) che è stato “assorbito” dal fondo e ha quindi lasciato quindi uno scenario invariato per gli abitanti del capoluogo lombardo.
Positivo invece il saldo per le altre 9 grandi città coinvolte, prima su tutte Torino che potrà destinare a misure di sostegno per disabili, minori e anziani non autosufficienti, un totale di 3,896 milioni di euro aggiuntivi rispetto al passato. Seguono Bari con 2,132 milioni, Roma con poco meno di 2 milioni di euro, Reggio Calabria con 1,873 e Venezia con 1,787 milioni. Chiudono il cerchio Napoli con 1,194 milioni, Firenze con 747mila euro, Genova con 742mila e Bologna con 443mila.
di Veronica Potenza
Fonte: Enti Locali online