Una Commissione tributaria regionale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5-ter, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102 (Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 ottobre 2013, n. 124, denunziandone il contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione.
La Commissione è stata investita del giudizio di rinvio conseguente alla cassazione, disposta dalla Corte di legittimità con ordinanza della sezione sesta civile, 31 ottobre 2019, n. 28135, di una precedente sentenza d’appello, che aveva confermato l’accoglimento, in prime cure, dell’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale il Comune aveva contestato ad una società cooperativa agricola l’omesso versamento dell’imposta comunale sugli immobili per gli anni l’anno 2006, 2007, 2008 e 2009 in relazione a sei fabbricati.
In primo grado la Commissione tributaria provinciale di competenza, in linea con le deduzioni del contribuente, aveva ritenuto dimostrata la natura rurale dei fabbricati e, quindi, operante l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili (ICI) prevista dall’art. 23, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2009, n. 14.
La CTR riferisce, quindi, di essere chiamata a decidere la controversia in applicazione del principio di diritto – enunciato dalla Corte di cassazione con la citata ordinanza di cassazione con rinvio, in continuità con l’orientamento inaugurato dalla sentenza della stessa Corte, sezioni unite civili, 21 agosto 2009, n. 18565 – secondo il quale, ai fini dell’esenzione dall’ICI, il carattere rurale dei fabbricati deve risultare dall’apposita annotazione negli atti del catasto, nella specie non sussistente.
Espone, ancora, il rimettente che nel giudizio riassunto il contribuente ha chiesto, in via principale, dichiararsi la nullità dell’avviso di accertamento riguardante quattro degli originari sei fabbricati, «non oggetto di autotutela da parte del Comune», e, in via subordinata, sottoporsi allo scrutinio di legittimità costituzionale «la norma di riferimento», nella parte in cui non prescrive la possibilità di ottenere l’esenzione dei fabbricati a destinazione rurale che non siano più censiti in catasto, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
Il Comune ha, invece, concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per riassunzione e, in subordine, per il rigetto dello stesso, sul presupposto che, in relazione ai quattro fabbricati privi di annotazione di ruralità, l’ICI fosse, invece, dovuta.
DIRITTO
La Corte Costituzionale dopo avere respinto tutte le eccezioni di inammissibilità del ricorso e ricostruito in premessa il complesso quadro normativo in materia e i diversi interventi legislativi intervenuti in materia, statuisce nel merito come la previsione che ricollega il conseguimento del riconoscimento della ruralità ai fini dell’esenzione dall’ICI all’inserimento di tale qualità negli atti del catasto risponde alla esigenza di certezza giuridica, cui seguono importanti sussunzioni in materia.
In linea con l’orientamento di legittimità inaugurato dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 18565 del 2009, la normativa censurata dispone, infatti, che il riconoscimento del carattere rurale dei fabbricati sia cristallizzato in un’iscrizione.
Quest’ultima è soggetta alle variazioni indotte dalla sopravvenienza di mutamenti materiali e giuridici del cespite cui si riferisce. L’aggiornamento delle risultanze rientra, infatti, nella funzione di conservazione propria del catasto, la quale è assolta dall’amministrazione finanziaria tenendo in evidenza, mediante operazioni di voltura e di verificazione, le mutazioni soggettive e dello stato degli immobili e delle correlate rendite.
Alla stregua di tale sistema, ogni iscrizione relativa ad atti di aggiornamento viene registrata e rimane accessibile al fine di consentire in ogni tempo la ricostruzione storica delle vicende che hanno interessato ciascun immobile censito.
Tra le variazioni tracciabili in catasto deve, quindi, includersi anche il frazionamento da cui derivi la soppressione della particella oggetto di ripartizione e l’assunzione, da parte dell’unità immobiliare derivata, di un nuovo identificativo.
In tale evenienza, le annotazioni storicamente afferenti alla particella soppressa non possono che essere effettuate su quella derivata, sia pure con espresso riferimento al precedente identificativo catastale.
Contrariamente a quanto ravvisato dalla Commissione tributaria regionale che ha sollevato la questione, intravvedendo in tale suddetta situazione un ostacolo all’iscrizione della ruralità dell’unità catastale originaria, omette di considerare, aggiunge la Corte, che la registrazione retrospettiva rientra nella funzione di aggiornamento propria del catasto, e trascura la finalità di agevolazione sottesa alla portata retroattiva della normativa censurata.
Essa, infatti, al fine di fornire ai contribuenti una copertura rispetto agli accertamenti fiscali effettuati nel quinquennio antecedente alla richiesta di variazione o di annotazione, detta una disciplina procedimentale che è rivolta essenzialmente al passato, perché consente di dare evidenza catastale alla circostanza che un determinato fabbricato, che nel periodo considerato risultava censito, possedesse i requisiti di ruralità, essendo, invece, irrilevante che in un momento successivo esso abbia assunto una diversa configurazione catastale.
La premessa interpretativa da cui muove sempre la Commissione si discosta, altresì, dalle indicazioni fornite sul punto dall’amministrazione finanziaria, infatti, secondo le istruzioni elaborate dalla Direzione centrale catasto e cartografia dell’Agenzia del territorio indirizzate alle strutture territoriali dipendenti, per gli identificativi associati alle unità immobiliari soppresse, l’annotazione della destinazione rurale ai sensi della disciplina in scrutinio deve essere inserita manualmente «menzionando lo stadio superato».
L’informazione viene, quindi, associata all’unità immobiliare derivata, con la precisazione che il requisito deve essere riferito all’unità originaria da cui questa proviene, al fine di offrire un’adeguata rappresentazione della vicenda.
Nemmeno valgono sul caso i rilievi svolti sul punto, secondo cui l’annotazione di ruralità sulle unità immobiliari derivate non risulterebbe possibile ove il contribuente, ancor prima di presentare la domanda ai sensi del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, abbia già provveduto a far confluire l’originaria unità immobiliare in un nuovo subalterno accatastato nelle categorie A/6 o D/10, in quanto non si potrebbe, in tal caso, apporre nessuna ulteriore annotazione.
Tale affermazione, afferma la Corte, contrasta, invero, con la funzione tipica della registrazione catastale, attraverso la quale è possibile dare evidenza all’inquadramento assegnato al cespite in un preciso momento storico, in modo da aggiornare il quadro informativo dato dall’ordine cronologico delle iscrizioni.
Aggiungono in merito i giudici che la ruralità, non essendo una qualità connaturata al fabbricato, ma scaturendo da una serie di condizioni soggettive e oggettive previste dalla legge (art. 9 del d.l. n. 557 del 1993, come convertito), può non permanere nel tempo, così che l’attuale esistenza di tale destinazione funzionale non ne implica necessariamente la sussistenza anteriore.
Alla luce di quanto illustrato, la Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni sollevate in quanto il contrasto della disciplina oggetto del giudizio con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza si palesa insussistente e cadono, al contempo, i sospetti di violazione del principio della capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost.