Nell’Ordinanza n. 18445 del 30 giugno 2021 della Corte di Cassazione, la Suprema Corte osserva che la Pronuncia di estinzione del giudizio adottata a seguito della conciliazione, senza che questa si sia poi perfezionata, è affetta da nullità processuale. E la sua mancata impugnazione, comportando la formazione del giudicato sulla pretesa tributaria, ancorché impedisca l’iscrizione a ruolo delle somme afferenti all’originario credito contestato, consente comunque all’Amministrazione di agire per la riscossione degli importi indicati nel processo verbale di conciliazione, non avendo l’accordo concluso dalle parti un effetto novativo, proprio perché, in concreto, mai onorato.
Il caso
Nella specie, la Società contribuente aveva impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale degli avvisi di accertamento relativi ad Ici per le annualità dal 1997 al 2002. Le parti avevano concluso una conciliazione giudiziale e l’adita Ctp aveva dichiarato estinto il giudizio, con Sentenza non impugnata dalle parti e, quindi, passata in giudicato. In realtà, detta conciliazione non si era però poi perfezionata, poiché la Società aveva versato la prima rata in ritardo e non aveva fornito la prevista garanzia.
Pertanto, il Comune aveva agito per il recupero delle somme ancora dovute sulla base della menzionata conciliazione, emettendo ingiunzione di pagamento.
La Società aveva impugnato tale ingiunzione davanti alla Ctp, la quale ne aveva poi respinto il ricorso, con Sentenza confermata anche dalla Commissione tributaria regionale.
La Società contribuente aveva infine proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione degli artt. 46 e 48, del Dlgs. n. 546/1992, laddove, a suo avviso, la Ctr aveva errato nell’affermare che il Comune poteva emettere ingiunzione di pagamento avente ad oggetto gli importi di cui al verbale di conciliazione in precedenza concluso fra le parti. Infatti, sosteneva la Società, essa non aveva adempiuto alla citata conciliazione, con l’effetto che questa non si era perfezionata e che quindi, in conseguenza della pronuncia di estinzione del giudizio, non esisteva più alcun titolo sul quale fondare l’emissione dell’ingiunzione contestata.
La decisione
Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.
Rilevano i Giudici di legittimità che, in tema di Processo tributario, la pronuncia di estinzione del giudizio, adottata alla stregua della sola conclusione della conciliazione senza che questa si sia perfezionata con il versamento dell’intera somma che ne è oggetto o con la prestazione della prescritta garanzia, è affetta da nullità processuale. E la sua mancata impugnazione, comportando la formazione del giudicato sulla pretesa tributaria, ancorché impedisca l’iscrizione a ruolo delle somme afferenti all’originario credito contestato, consente comunque all’Amministrazione di agire per la riscossione degli importi indicati nel processo verbale di conciliazione[1].
In definitiva – rileva la Cassazione – l’Amministrazione finanziaria conserva il potere di agire per la riscossione di quanto stabilito nel verbale di conciliazione ex art. 48, del Dlgs. n. 546/1992, pure nel testo modificato dall’art. 1, comma 419, della Legge n. 311/2004, sia ove il Processo tributario sia stato illegittimamente dichiarato estinto dal Giudice in mancanza del perfezionamento dell’accordo, qualora la sua Pronuncia sia passata in giudicato, sia comunque nell’ipotesi che detta Pronuncia sia stata emessa nel rispetto dei presupposti di legge.
In particolare, nella controversia in esame era anzi proprio il giudicato venutosi a formare sulla dichiarazione di estinzione della Ctp a giustificare la richiesta di pagamento. Ciò era infatti coerente con la circostanza che, se la medesima Amministrazione avesse impugnato detta dichiarazione, essa avrebbe potuto nuovamente azionare l’originaria (intera) pretesa tributaria[2].
Osservazioni
Al di là dello specifico caso processuale, in termini più generali giova anche evidenziare quanto segue.
La conciliazione giudiziale prevista dall’art. 48, vigente ratione temporis, sia nel testo originario che in quello risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 419, della Legge n. 311/2004, comporta l’estinzione della pretesa fiscale originaria, contestata dal contribuente, e la sua sostituzione con una certa e concordata; e tuttavia l’effetto estintivo può verificarsi esclusivamente nel caso in cui la fattispecie conciliativa si sia perfezionata, secondo le modalità previste dall’art. 48 del Dlgs. n. 546/1992, poiché solo in tale ipotesi il verbale di conciliazione può costituire titolo per la riscossione[3].
La conciliazione tributaria giudiziale non ha, del resto, natura negoziale, ed in particolare non ha la natura di novazione, ma ha natura di fattispecie a formazione progressiva e procedimentalizzata, caratterizzata dall’identità temporale della sua perfezione e della sua efficacia[4]. Di conseguenza, solo nel momento in cui la conciliazione si perfeziona si estingue il rapporto giuridico tributario sostanziale e, pendente una controversia giudiziale, si produce la cessazione della materia del contendere[5].
La conciliazione rateale può (rectius: poteva) dunque considerarsi perfezionata solo con il versamento, entro il termine di 20 giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’importo della prima rata concordata e, in caso di mancato adempimento dei predetti obblighi, non può verificarsi l’estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 46 del Dlgs. n. 546/1992[6]. Tranne che, come visto nel caso in esame, per gli effetti del passaggio in giudicato della stessa sentenza.
Si evidenzia infine che il Dlgs. n. 156/15 ha innovato anche su tale aspetto. L’art. 9, comma 1, lett. t), del citato Decreto ha infatti disciplinato l’art. 48-ter in tema, appunto, di definizione e pagamento delle somme dovute, in conciliazione, a titolo di imposta e di sanzioni.
A differenza della previgente disciplina, il perfezionamento dell’accordo avviene ora non più con il versamento dell’importo totale dovuto o della prima rata, bensì con la mera sottoscrizione dell’accordo stesso.
La conciliazione, anche solo sottoscritta, costituisce quindi ora, a tutti gli effetti, titolo per la riscossione delle somme negoziate.
di Giovambattista Palumbo
[1] In termini simili, Corte di Cassazione, Ordinanza n. 14951/2019, che esclude di conseguenza che l’accordo concluso dalle parti abbia un effetto novativo proprio perché, in concreto, mai onorato
[2] Sul potere di impugnazione dell’Amministrazione si veda anche Corte di Cassazione, Sentenza n. 14547/2015, per la quale gli atti dichiarativi delle varie specie di conciliazione di cui all’art. 48, del Dlgs. n. 546/1992, non determinano di per sé la cessazione della materia del contendere, che si ha solo con il versamento della somma concordata.
[3] Corte di Cassazione, Sentenze nn. 20386/2006 e 14300/2009.
[4] Corte di Cassazione, Ordinanza n. 31251/2019.
[5] Corte di Cassazione, Sentenza n. 3560/2009.
[6] Corte di Cassazione, Sentenza n. 9219/2011.
Fonte: Enti Locali online