C.g.a. sentenza 16 marzo 2022, n. 306
La qualificazione della concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata va ricondotta alla concessione di bene pubblico e non alla concessione di servizi .
Il Cga si è pronunciato sulla richiesta avanzata da una società di procedere alla rideterminazione delle condizioni di equilibrio della concessione ai sensi dell’art. 165, d.lgs. n. 50 del 2016 e/o alla revisione del prezzo e/o all’adeguamento del contratto (reductio ad aequitatem), ai sensi degli artt. 1664 c.c. e 1467, comma, 3 c.c., per il verificarsi di fatti non riconducibili alla società aggiudicataria e del tutto imprevisti ed imprevedibili (emergenza sanitaria da Covid-19),
Il petitum è stato respinto in quanto:
a) la qualificazione della concessione degli spazi pubblicitari destinati alla affissione privata va ricondotta alla concessione di bene pubblico e non alla concessione di servizi;
b) ciò, tra l’altro, in quanto:
– si tratta di un contratto attivo dell’Amministrazione, alla quale viene pagato un prezzo da parte del concessionario per l’utilità ricevuta, e che pertanto non è connotato dal rischio operativo;
– oggetto del rapporto negoziale non è un servizio: né un servizio strumentale alle esigenze di gestione del Comune, né un servizio pubblico reso all’utenza per la soddisfazione di interessi generali o comunque per le finalità ritenute meritevoli di tutela e di cui l’Amministrazione abbia ritenuto di farsi carico e di erogare o comunque di gestirne l’erogazione;
– le società concessionarie svolgono l’attività pubblicitaria a vantaggio di terzi erogando una prestazione tipicamente oggetto di un mercato concorrenziale e rispetto alla quale l’Ente pubblico si limita a offrire uno spazio ulteriore per la relativa erogazione;
– l’attività che viene compiuta negli spazi pubblicitari non è, in quanto tale, un’attività dell’Amministrazione (nel senso che essa non compie attività pubblicitaria, né la organizza, limitandosi a fornire alcuni degli spazi ad essa dedicati), non domina quindi l’aspetto della concessione di servizi, nella quale il godimento del bene è solo uno degli elementi del contratto di servizio: piuttosto il godimento del bene, e i vincoli che questo comporta, costituisce l’oggetto principale del contratto.
Il Cga si è altresì pronunciato in senso contrario all’applicabilità alle concessioni (di beni), per effetto del richiamo contenuto al comma 8 dell’articolo 30 del d. lgs. n. 50 del 2016, degli artt. 1664 e 1467 c.c., in quanto:
a) i rimedi di cui agli artt. 1467 e 1664 c.c. attengono alla fase esecutiva del rapporto contrattuale prevedendo che eventuali elementi imprevedibili che si siano verificati nel corso della medesima possano rilevare, in funzione manutentiva o estintiva, così superando il carattere vincolante del contratto;
b) essi non trovano un esplicito ostacolo nella diversa disciplina delle sopravvenienze dettata dal d. lgs. n. 50 del 2016, in quanto ai contratti attivi si applicano i principi relativi alle procedure di affidamento del contratto, non all’esecuzione del medesimo, e costituiscono espressione della tematica della gestione delle sopravvenienze e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta che si pone in relazione a quei contratti la cui esecuzione non risulta contestuale alla loro stipula.
c)con specifico riferimento all’istituto della concessione:
– la concessione, pur essendo connotata da un effetto non autoritativo nei confronti del destinatario (che ha presentato istanza di concessione), è in ogni caso un provvedimento amministrativo posto che, come tutti i provvedimenti amministrativi, costituisce il risultato del bilanciamento fra gli interessi coinvolti;
– detti aspetti depongono per un inquadramento sensibilmente pubblicistico dell’istituto, che infatti si muove tipicamente nei limiti dettati dal principio di legalità, nel senso che, in termini generali, la riserva trova fondamento in una norma di legge e così il potere di concederla ad altri;
– non fa venir meno la connotazione pubblicistica del rapporto concessorio la circostanza che debba applicarsi la procedura a evidenza pubblica per addivenire alla scelta del concessionario, dal momento che i contratti a evidenza pubblica sono una categoria procedimentale, che dal punto di vista sostanziale può essere applicata a contratti diversi, ordinari, speciali e a oggetto pubblico;
– la concessione instaura un rapporto di diritto pubblico fra Amministrazione concedente e concessionario, che rivestono (la prima) una posizione autoritativa che si compendia in una situazione di interesse legittimo (del secondo), che si connota anche di profili patrimoniali, regolati nell’ambito della convenzione stipulata fra i due enti;
– la connotazione pubblicistica dell’istituto della concessione di beni e la devoluzione della materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo possono far ritenere che non siano applicabili gli istituti civilistici richiamati dall’appellante al rapporto concessorio, se non con riferimento ai principi ad essi sottesi e alle istanze di buona fede quale canone relazionale generale, indicato anche dall’art. 1 comma 2-bis della legge n. 241 del 1990 con specifico riferimento ai rapporti tra il cittadino e l’Amministrazione.
Sulla base di tali premesse il Cga ha negato l’applicabilità alla concessione di beni degli istituti disciplinati dall’art. 1467 c.c. e dall’art. 1664 c.c. in quanto:
a) nel caso di specie le condizioni economiche sono mutate, per cause ascrivibili essenzialmente all’emergenza pandemica, già prima della stipulazione del contratto, così riconoscendo al privato aggiudicatario la possibilità, riconosciuta espressamente dall’art. 32, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 ma espressione di un principio generale di buona fede (in forza del quale la proposta contrattuale è irrevocabile per un tempo definito, ai sensi dell’art. 1328, in ragione della tutela della libertà contrattuale), di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto allorquando sia decorso il termine di sessanta giorni da quando l’aggiudicazione è divenuta efficace, come nel caso di specie;
b) più in generale l’art. 1467, rimedio generale applicabile a tutti i contratti a esecuzione continuata, periodica, prolungata o differita, contiene un rimedio estintivo, che lascia alla sola volontà di controparte l’attivazione dell’istituto manutentivo della modifica equa delle condizioni contrattuali;
c) il rimedio manutentivo di cui all’art. 1467 c.c., quindi, non può essere invocato direttamente dalla parte che subisce il peggioramento imprevedibile delle condizioni contrattuali, potendo essa domandare la risoluzione, laddove la controparte può impedirla, modificando equamente le condizioni del contratto;
d) l’art. 1664 c.c. è espressione del medesimo principio generale dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 c.c.;
e) le due norme si distinguono in relazione all’ambito di applicazione e ai rimedi che le stesse forniscono, atteso che l’art. 1664 c.c. risulta avere una portata circoscritta, potendo trovare applicazione, almeno secondo l’opinione tradizionale, nell’ambito del contratto di appalto e in relazione a quelle circostanze sopravvenute che soddisfano i presupposti da questa individuati;
f) gli istituti di cui all’art. 1467 c.c. e di cui all’art. 1664 c.c. si distinguono anche in relazione agli effetti da queste derivanti: l’art. 1467 c.c., infatti, individua la risoluzione del contratto come principale rimedio all’eccessiva onerosità sopravvenuta, rimettendo la possibilità di ricondurre il contratto ad equità all’iniziativa della parte nei cui confronti è stata chiesta la risoluzione mentre l’art. 1664 c.c. prevede l’adeguamento del contratto come unica soluzione al sopraggiungere di circostanze sopravvenute in grado di incidere sull’equilibrio delle prestazioni;
g) la qualificazione dell’oggetto della gara in termini di concessione di bene, nella quale lo svolgimento dell’attività non costituisce l’oggetto diretto del rapporto negoziale ma la sola finalità vincolata dell’uso del bene, osta all’applicazione dell’istituto di cui all’art. 1664 c.c.
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it