Si segnala il recente parere del Cons. St., sez. I, 15 febbraio 2022, n. 378 in materia di ampliamento edificio di civile abitazione e ristrutturazione edilizia. Il Cds si esprime su richiesta del MIMS rispetto al ricorso al capo dello Stato promosso da un cittadino che ha trasmesso al comune una SCIA alternativa al permesso di costruire per la realizzazione di lavori di “Ristrutturazione-ampliamento edificio di civile abitazione”, con modifiche di alcune parti dell’edificio, in quanto il Comune aveva emesso ordinanza di sospensione dei lavori. I giudici del CdS hanno evidenziato che, non rientrano nella nozione di ristrutturazione urbanistica “ordinaria” tutti gli interventi edilizi sulle preesistenze che comportino incrementi volumetrici e, nelle zone vincolate (come quella in esame, per come emerge dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune), quelli che comportino modifiche della sagoma degli edifici. Nel merito il Consiglio di Stato ha ricordato che l’art. 10 del Testo unico edilizia (nella formulazione vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato) prevedeva che “Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: …c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti…nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”. Da tale norma è dato di ricavare la sostanziale assimilabilità dell’intervento di ristrutturazione edilizia caratterizzato da incrementi volumetrici ovvero di sagoma e prospetti a quello di nuova costruzione, quantomeno per le porzioni che costituiscono un novum rispetto alla preesistenza. In buona sostanza, quando l’intervento edilizio sulla preesistenza modifichi quest’ultima con riferimento ai parametri urbanistico-edilizi sopra evidenziati, l’opera in relazione a questi ultimi deve essere valutata come una innovazione rilevante in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio ed è soggetta, per le parti di interesse, alle regole generali che presidiano e disciplinano l’edificazione sul territorio comunale. Sicchè la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia “pesante” restano assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire e soggiacciono al regime delle distanze previsto dalla normativa urbanistica. Questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, IV, 2-4-2019, n. 2163; IV, n. 5466/2020) ha, invero, chiarito che, indipendentemente dalla qualificazione di un intervento in termini di ristrutturazione o di nuova costruzione, nell’ipotesi in cui un manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte poiché esso – quanto alla sua collocazione fisica – rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare le norme sulle distanze; precisandosi, altresì, che la distanza preesistente può essere conservata quando ci si contenga nei limiti preesistenti di altezza, volumetria e sagoma dell’edificio, mentre si ha un novum e, dunque, una nuova costruzione per ciò che eccede (cfr. Cons. Stato, IV, 12-10-2017, n. 4728). Dai principi giurisprudenziali innanzi richiamati, nel parere in questione, secondo il CdS emerge chiaramente che ove l’intervento edilizio di ristrutturazione comporti incrementi volumetrici ovvero modifiche della sagoma, che si realizzino, come nella fattispecie in esame, nell’incremento dell’altezza del preesistente manufatto e nella realizzazione di una copertura piana in luogo di quella originaria inclinata, tali parti, connotate da innegabili profili di novità rispetto alla preesistenza, soggiacciono al limite delle distanze e non possono essere assorbiti dalla regola della mera osservanza delle distanze preesistenti applicabile alla porzione di edificio originaria.