La liberalizzazione del commercio non implica un impedimento per scelte urbanistiche del Comune che prevedano la limitazione di attività commerciali in certe aree del territorio. E’ quanto sancisce il Consiglio di Stato, Sez. Quarta, con sent. N. 07695/2022.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, la progressiva liberalizzazione delle attività commerciali, come sancita dall’art. 31, comma 2, d.l. n. 201/2011, non si traduce nell’impossibilità di regolare tali attività ove incidenti su aspetti di carattere prettamente urbanistico.
Sebbene la disciplina nazionale e sovranazionale, relativa all’insediamento delle attività commerciali, esplichi un rilevante impatto anche sugli atti di programmazione territoriale, va, comunque, considerato che questi ultimi, adottati nell’esercizio del differente potere in materia di pianificazione urbanistica, sono da considerarsi legittimi ove perseguano, come nel caso di specie, finalità di tutela dell’ambiente urbano e siano riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio. Pertanto, il Comune resta titolare di potestà pianificatoria e nell’esercizio di tale potestà esso può legittimamente fissare limiti insediativi di natura non economica alle attività commerciali e produttive, nel rispetto di tali vincoli, individuando aree del territorio inibite all’insediamento di impianti produttivi o esercizi commerciali.
Nel caso di specie, la scelta pianificatoria del Comune rientra nella finalità di tutela dell’ambiente urbano laddove individua una zona omogenea F10 dedicata ad attrezzature e servizi per il tempo libero e per lo sport cioè a realizzare finalità che sono estranee ad una destinazione d’uso commerciale anche se finalizzata a realizzare un negozio di vicinato. Per il giudice si tratta, dunque, di una scelta che attiene alla conformazione dell’ambiente urbano che secondo l’art. 31 sopra richiamato consente di porre dei vincoli alla libertà di stabilimento di un’attività commerciale.